Lei rovista nella borsa e estrae un vecchio Nokia. Prima di sbloccarlo appare una foto di persone sorridenti. Lui guarda la strada che scorre dietro il parabrezza. Sono le otto del mattino ma sembra quasi notte e i fari delle auto brillano sul grigio dell’asfalto e del cielo.
«Guarda che tempo. Tra un po’ verrà giù l’inferno.» dice lui come parlando da solo.
«Almeno non avremo caldo. Come sei sempre negativo.» gli risponde con una voce come di carta vetrata, poi torna al suo telefono e si sofferma sulla foto. Ci sono loro due, Paolo e Mara, con accanto due bambini. Se la fecero scattare all’uscita di un Autogrill. La loro bambina stringe al petto un grosso pesce azzurro di peluche da cui pende una vistosa etichetta dalle scritte rosse; lo avevano appena comperato lì dentro. La madre continua a fissare l’immagine. «Come eravamo più...» sta per dire “giovani” ma il fischio roco del Telepass la interrompe. Getta uno sguardo distratto al solito casello di San Lazzaro che ha dato inizio a tutte le loro vacanze, poi riprende il Nokia. A ben guardare, il fratello maggiore ha un sorriso un po’ tirato e le braccia gli penzolano lungo i fianchi.
«Paolo, dove eravamo qui, te lo ricordi?» chiede a Paolo.
«Qui dove...» fa lui con un impercettibile sospiro.
Lei gli avvicina il piccolo schermo e lui getta un’occhiata rapida. Fuori ci sono certe nuvole buie color ghisa.
«Dove eravamo non lo so. Però era l’anno del Gargano, mi ricordo quel pesce di Alice. Di sicuro era questa stessa autostrada. Era quella volta che... che Marco ha vomitato tutto il tempo.»
Mara non distoglie lo sguardo dalla piccola immagine. Lui aziona il tergicristallo per pulire i primi goccioloni e lei lascia cadere il discorso. La pioggia aumenta subito così violentemente che sembrano sassate sui vetri. Paolo tiene il volante con forza e fissa la strada con gli occhi sbarrati. Lei ha aperto la pagina dei messaggi ma non si decide a scrivere e osserva con una certa preoccupazione i rovesci d’acqua che tormentano l’auto da ogni lato.
Sono quasi a Forlì quando il cielo si apre un po’. Nessuno dei due ha parlato per tutto il tempo, come se entrambi dovessero tenere gli sguardi tesi sull’asfalto, come se nulla dovesse sfuggire alla loro attenzione. Lei ha soltanto scritto qualche frettoloso sms quando la furia del vento e della pioggia cedeva un poco.
«Mi sa che il peggio è andato.» dice lei; ha un tono spento, come se annunciasse il ritardo di un treno.
«Potremmo farci un caffè. Abbiamo quasi settecento chilometri davanti...»
Lei annuisce ma è solo a Rubicone che scendono dall’auto. Mara sembra eccitata all’idea che fosse proprio quella l’area di servizio della foto. Paolo non si lascia contagiare. «Come fai a dirlo, li hanno tutti rifatti nuovi ‘sti bar.» Lei consulta ancora il telefono e sembra confrontare particolari dell’immagine con l’edificio che hanno di fronte, senza tuttavia dire nulla di più; lui appoggia la tazzina al banco schioccando la lingua. «Ah, basta fare cento chilometri verso sud e il caffè costa già meno ed è più buono», dice, poi guarda Mara come aspettasse una risposta, ma lei sta già cercando la toilette e si limita a osservare che le mettono sempre in fondo a tutto, così ti tocca guardare tutti i vini, i prodotti locali, le cioccolate e i pupazzetti. Ripensa al pesce di pezza a cui Alice si affezionò così tanto. Non voleva lasciarlo nemmeno di notte.
Dopo Fano il cielo è tutto sereno. Il caldo, già forte, si fa intenso quando si trovano in coda per un incidente. Mara accende Isoradio poi riprende a digitare sms, mentre Paolo si guarda intorno. Alla sua sinistra si affianca una Focus rossa; è una famiglia con due bambini. Li vede scherzare. Agitano le mani come se cantassero. Ripensa ai tanti viaggi su e giù per la A14 coi figli, ogni anno a luglio. Pensa a come fosse tutto più facile. “Ci sono i bambini” era la frase magica, e ogni cosa trovava un suo posto in una scala di priorità.
Tacciono a lungo ascoltando la radio, finché lei propone di mangiare i panini e la frutta portati da casa, come avevano sempre fatto. Si fermano in un’area di parcheggio poco dopo Pescara. Paolo vuole far scorta di acqua da una fontana in fondo allo spiazzo. Nell’accostare la bottiglia al getto potente fa un gesto maldestro e un grande spruzzo finisce su Mara.
«Ehi, mi hai fatto il bagno!» esclama e con la mano devia il getto su di lui, bagnandolo tutto. Si mettono a ridere e si buttano addosso tanta di quell’acqua da essere completamente zuppi fin nei capelli, gridando divertiti. Poi riattraversano tutto il parcheggio verso l’auto; hanno ancora un po’ di sorrisi sulle bocche, come filamenti di cibo rimasti tra i denti. Lui si ferma a strizzare la sua maglietta e alza lo sguardo verso la macchina, venti metri oltre: nota la vernice opaca, qualche piccola ammaccatura, i primi segni di ruggine. Ma se la ricorda bene, com’era bella appena comprata, lucida e brillante là sotto casa. E com’erano tutti pieni di speranze.