Io non l’ho mai capita, sta cosa del piattino. Cioè, io
arrivo dopo un pomeriggio intero in colonna con la vescica che scoppia e tu,
dall'alto del tuo metro e quaranta scarso, mi guardi storto perché non metto
una moneta nel piatto? Che poi son sicuro che se ci mettessi dieci centesimi,
magari quelle due monete da cinque che mi ha dato di resto il casellante, mi
avresti guardato come un pezzente. Ma io non sono uno di quelli col macchinone targato
Romania in leasing; sono solo uno che ha voglia di una birra dopo due ore
passate in un Maggiolone del Settantasette senza aria condizionata. Non credi
che basti?
Così tiro dritto, non degnandoti di uno sguardo, mi infilo
in mezzo a due camionisti al bancone come Cristo tra i ladroni e ordino una
birra media, mentre mi vibra la tasca. E’ Giovanna, che il suo moroso non
capisce un cazzo e lo appena ha sbattuto fuori di casa. L’ho sempre saputo, che
in realtà lei ne volesse da me; ma è altrettanto risaputo che io sia sempre
innamorato delle persone sbagliate nel momento sbagliato, perché c’ho sempre
quella voce in testa che dice Non è giusto, non è il momento, non è il caso. Fanculo
Giovanna e le voci. Meglio un’altra birra.
L’ultimo sorso va giù e manco me ne sono accorto, che son
qui da solo all'una meno venti al bar dell’Autogrill di Secchia Est a fissare
il vuoto. Decido allora di farmi un Fernet e poi di pagare, che non è giusto
rompere le palle al prossimo tuo all'una di notte; così ordino il Fernet, lo
butto giù in tre secondi e vado in cassa.
Tre e cinquanta, mi dice la cassiera; poi la guardo un
attimo e mi faccio due conti, che so benissimo che ci mancano i tre euro dell’amaro;
così le dico E il Fernet? Offro io, mi dice, ma in cambio di un passaggio, che
la mia collega ha staccato da un’ora e nessuno abita dalle mie parti. Io le
chiedo Di dove sei?, e lei mi dice Di Soliera; allora io sorrido, che anch'io
son di Soliera. Che poi è Limidi, le dico, ma non sottilizziamo troppo, mi dice
una delle mie voci in testa. Al diavolo.
Mentre lei va a cambiarsi io aspetto sul retro. Ormai è l’una
e mezza e il freddo aumenta, anche se il Fernet, la birra e la timidezza mi fan
salir su un caldo; poi una porta si apre ed esce lei, la cassiera, con una gran
massa di capelli biondo cenere che si muovono nell'aria, e io son già cotto,
non solo dal caldo che mi sale dentro.
Il Maggiolone ci mette un po’ ad accendersi. C’ha un’età, le
dico sorridendo. Lei ride, mentre cerco di trattenere le bestemmie facendo
girare il blocco d’avviamento, finché finalmente il motore tossicchia e prende
il minimo. Ce l’ho da quasi quindici anni, le dico, e mi dispiace darlo via
perché di auto con un carattere così non ne fan più. Ride ancora lei, che si
chiama Valentina, e mentre le dico Piacere Valerio accendo l’autoradio e c’è
Ligabue che dice Lui aveva un vecchio Maggiolone cabriolet, sfatto ma piaceva
tanto a lei. Ridiamo come due matti e ci mettiamo a urlare che Marlon Brando è
sempre lui, mentre imbocchiamo l’entrata dell’autostrada, che se ci fosse stato
un casellante ci avrebbe squadrato
malissimo; ma tanto adesso son tutti estinti, come i dinosauri o le lucciole.
Valentina ha freddo, colpa della cappotta sfatta; così
accosto in corsia d’emergenza e le do il mio giubbino di jeans. Lei tira fuori
il cellulare, se lo porta all'orecchio e dice Pronto; tace per un po’, dice Okay
e poi attacca. Va bene il freddo, ma credo che Valentina stia piangendo per un
altro motivo. Non so che fare, perché le voci nella mia testa improvvisamente
tacciono, mentre in sottofondo i Rem cantano Evereybody hurts... Sometimes. Valentina
dice che la musica sa sempre chi sei, forse meglio di te.
Chiediglielo chiediglielo chiediglielo, dice una delle voci,
e non faccio neanche in tempo a zittirla che le chiedo E tu chi sei in realtà,
Valentina dell’Autogrill di Secchia Est, e cosa vuoi? Voglio solo un bacio, risponde
lei; poi mi afferra per la maglietta e mi bacia, senza che possa dire Non è
giusto, Non è il momento, Non è il caso. Al diavolo le voci, le donne
sbagliate, Giovanna. Lascio che la musica esca dalle casse sfondate, che l’aria
entri dalla cappotta sfondata ed entri nel mio cuore sfondato per fare pulizia.
Quando arriviamo a Soliera – che poi è Limidi, ma non
sottilizziamo, dice sempre quella voce – non le ho chiesto chi fosse al
telefono; non le ho chiesto cosa fosse successo, per farla piangere di fronte a
uno sconosciuto; non le ho chiesto che cosa di male le avesse fatto la vita per
farla lavorare di notte all’Autogrill di Secchia Est. Le ho detto Ciao. Non
Ciao e a presto. Soltanto Ciao. E quando lei ha chiuso il portone, mi son
guardato nello specchietto retrovisore e ho sorriso; poi ho tirato l’aria e Vrumm,
partito al primo colpo, senza fare una piega.
Bastardo d’un Maggiolone.