Ho sempre amato viaggiare di notte. E ho sempre amato gli Autogrill di notte.
Per la precisione amo i self-service degli Autogrill di notte. Quel senso sospeso di incertezza. Il self è aperto ma a menù ridotto. Non trovi la scelta del pranzo: trovi un paio di primi, qualche avanzo di carne, più o meno al sangue, e insalatone a giustificare una scarsa possibilità di scelta. Tanto a fare le insalatone si fa presto, e se non le vendi le infili in frigo e le riproponi il giorno dopo.
Amo anche il personale ridotto: una persona alla cassa e una ai banchi. Che poi quella alla cassa è anche quella che ti chiede, annoiata: “Vuole anche il caffè? Se lo prende adesso lo paga solo cinquanta centesimi”, come se così avesse risolto la crisi dell’euro.
Capisco che a lei non freghi nulla, che cosa le sposta se io prendo il caffè o no? Lei il suo stipendio lo prende uguale. Ed è solo per continuare ad averlo che è tenuta a porti quella domanda.
Ora sono solo ai tavoli del self: l’Autogrill Arda Est ha nella sua pancia solamente le due addette del self-service, la cassiera all’uscita e me.
Il silenzio è rotto da un canale musicale che lancia canzoni in voga al momento: credo che sia una ballata sudamericana di Enrique Iglesias.
Addento una forchettata di pisarei e fagioli, un buonissimo piatto piacentino che ho appena conosciuto. Mi rammarico di non averlo fatto prima, ne avrei mangiati di più se avessi avuto tempo. Troppo tardi, cari pisarei miei.
Almeno siete una delle ultime soddisfazioni della mia vita.
Certo, è curioso come sia ottimista l’essere umano: è impossibile, anche di fronte all’evidenza di una mancanza di prospettive, cercare di non guardare al futuro.
Poche ore mi rimangono da vivere, ma il mio cervello crede ancora al futuro.
Siccome non mi dovrò proprio più preoccupare della linea, e questo sarà una liberazione, ho preso due brioche al cioccolato per terminare il pasto.
Le trangugio goloso pensando a quanto la mia vita sia stata scandita dagli Autogrill: agente di commercio, una delle categorie, assieme ai camionisti, che qui ci vivono.
Ed è anche in uno di questi casermoni, affettuose mamme che assicurano riposo e cibo, che ti ho conosciuto, amore.
Ti ricordi quando trovai il coraggio di invitarti a cena la prima volta?
Passavo ogni settimana al Cantagallo per mangiare e conoscevo a memoria i tuoi turni.
Dalla prima volta mi innamorai di te.
“Sono 18.500 lire, prego”. La prima frase che ti ho sentito dire.
“Sì, lo voglio” quella più importante.
“Ma perché? Amore, perché?” l’ultima.
Ripongo il mio vassoio, come un qualsiasi cliente civile farebbe e mi dirigo verso l’uscita. Un cenno gentile alla cassiera che guarda annoiata il cellulare e ricambia.
Passo al bar a prendere il famoso caffè: volevo togliermi lo sfizio, almeno una volta nella vita, di bere quel caffè a cinquanta centesimi.
Prima di uscire dall’Autogrill decido di fare incetta di porcherie: dove sto per andare non interessa se sei stato magro o grasso, bello o brutto, pelato o con la coda.
Quindi, prima di salutare l’allegra compagnia qui sulla terra, ho deciso di farmi una scorpacciata di merda: cioccolate, biscotti, dolci zuccherosi, patatine fritte dai sapori improbabili: “provate le nuove patatine Lime e Pepe Rosa!” recita un cartello.
Certo, e chi sono io, il più stronzo che non le provo?
Non mi sono dimenticato di te che mi aspetti in macchina. So quanto ti piacciono le mie sorpresine alimentari, amore.
Ho adocchiato i Ferrero Rocher, la confezione da tre che ti mangi tutta in una volta. Siccome sei stata brava e non hai fatto storie te ne compro due.
Ho appena speso 37 euro in porcherie. Visto che mi devo divertire facciamolo alla grande.
Il parcheggio, in questa gelida notte di gennaio, è abitato solo dalla mia auto: credo che le commesse abbiano un parcheggio privato.
La luce del lampione, che illumina l’auto come la lampada dell’ispettore di polizia dei film americani quando ti interroga, brilla nel freddo.
Apro il bagagliaio: lo so che mi stavi aspettando, amore. Ecco i tuoi Ferrero Rocher. Apro la valigia e te li appoggio proprio accanto alla testa, infilata tra il piede e il braccio. A guardarti bene, adesso, mi ricordi quel vecchio gioco: come si chiamava? Tetris?
Scusami amore ma non ti avevo detto che mi restano solo alcuni giorni da vivere, non volevo darti questo dolore.
Molto più rispettoso ucciderti e portarti con me in Svizzera.
Mi sembrava brutto lasciarti vedova a Bologna mentre io vado a morire a Basilea.
Meglio portarti con me in questo ultimo viaggio. E, per evitare quelle tue solite noiose lamentele, ho deciso che era meglio che facessi tutto io.
Ti amo amore, e lo sai.
Sei l’unica che voglio con me in questo viaggio.
La strada per Basilea è ancora lunga, tesoro. Domani alle 18 ho appuntamento per l’eutanasia. Non vorremo mica arrivare in ritardo, vero, amore?